giovedì 31 gennaio 2013

CORRADO ALVARO. LA VOCE DELLA CALABRIA



(articolo del 2007 pubblicato sul giornalino Orizzonti del Liceo Classico Gioacchino da Fiore di Rende)

Guardare, contemplare, pensare  che è poi la libertà suprema dell’uomo”.

Dall'’umile terra dell’Aspromonte nel piccolo paese di San. Luca, il 15 aprile 1894, nacque il saggista, poeta, scrittore…Corrado Alvaro. Un nome della letteratura italiana, che uscì dalla massa contadina e arretrata dei suoi monti, per intraprendere una conoscenza più profonda del mondo e del resto d’Italia, che stava cambiando rapidamente lasciandosi alle spalle una Calabria, un Sud primitivo con strade non asfaltate e case diroccate nelle isolate montagne, o nelle impervie coste.
Profumi, sfumature, costumi, mentalità agreste, medievali di San Luca riecheggiano  tra le pagine di Alvaro. Egli nei suoi primi 10 anni di vita venne catturato ed incantato dalle storie vere, o fantastiche, che il dotto padre Antonio ed il vecchio maestro del luogo narravano ai fanciulli e ai grandi poveri ed analfabeti ricordando: i miti, le leggende, e le figure eroiche del passato, che avevano reso con le loro gesta, misteriosi ed affascinanti quei luoghi così lontani dal resto del mondo. Nelle sue poesie canta all'infanzia, alla gioventù paragonandole all’arte, in cui nonostante i tempi, c’è sempre quel pizzico di bello, piacevole e fantastico che, difficilmente, si può rivivere nella fase adulta, dove l’uomo giunge a comprendere che i prossimi anni della sua vita, non sono altro che l’illuminazione ed il riflesso di quelli passati. Nei saggi di Alvaro possiamo cogliere un visione romantica sulla morte. Infatti si rifà al pensiero dantesco e cavalleresco, in cui si parla di “dolce”morte, soprattutto, quando si è giovani e lontani dalla vecchiaia che la rende, invece, un evento prossimo, amaro. Lo stesso vale dell’idea sulla figura paterna e sul rapporto padre-figlio nella  società.”Tanto lavoro per sciuparsi ed essere diversi, e poi ritrovarsi come la pianta che ha in sé, come dice Campanella, la legge del suo frutto.”  Infatti nell'opera” Memorie e vita Alvaro descrive il padre Antonio, come una persona carismatica, curiosa, piena di risorse. Da buon calabrese pose la sua fede nel figlio, facendolo studiare fuori e permettendogli di confrontarsi con culture e pensieri diversi dal suo piccolo borgo. Fece così per poter riscattare i suoi sbagli di genitore, che si era fermato a lavorare come maestro, senza tentare il successo e la vita fuori da quei confini poveri, ma insostituibili dell’Aspromonte. Alvaro, nonostante le critiche osservazioni sul padre, non potrà evitare la sua metamorfosi fisica e mentale, che ogni giorno che cresceva ed invecchiava,  lo portava a rassomigliarlo nella voce, nelle passioni, nella posa, nei gesti. Così come l’idea della morte, anche l’immagine paterna, si impadronì della sua armonia e unicità, che aveva costruito negli anni lontano da casa:”In un paese urbano dove tutto era incolore, arido e senza scopo.” 
Alvaro nei suoi saggi analizza dettagliatamente e con molta sensibilità la mentalità calabrese. Racconta del malessere sociale, culturale, politico, che varie potenze straniere col passare dei secoli hanno alimentato e condannato, in un popolo che cercava di estraniarsi dal proprio dramma, ascoltando i canti in cui rivedeva l’orgoglio delle proprie radici e riuscendo a cogliere il motivo per andare avanti e non abbassare mai la testa. “L’invidia è il peccato mortale delle regioni povere:nei migliori diventa emulazione, ambizione, sprona alla conquista.” Di fronte all'indifferenza e all’ insofferenza del mondo, i calabresi hanno risposto con atti di omertà, vittimismo, vendetta…contro l’ingiustizia del passato, che si era presa gioco del suo nome e del suo sangue. Una Calabria che, ancora, non riesce a guardare avanti ma, ogni volta, il suo spirito ricade nel rancore del passato.
Corrado Alvaro in quei pochi anni vissuti sull'Aspromonte, riuscì a comprendere la vera identità del popolo calabrese, che trova la molla della sua esistenza: nella dignità, nella personalità e nella libertà interiore… e cerca la sua linfa vitale nella famiglia. Qui il comando, funzione indiscutibile, viene esercitato dal capo famiglia, che come un soldato difende i suoi cari e la sua terra con amore, orgoglio e avidità di vita. 
“Il paese era gramo e povero, rispetto alle ricchezze del mondo, e a me pareva il più ricco e il più vario”. 

Nessun commento:

Posta un commento