“Non è perché le cose sono
difficili che non osiamo, è perché non osiamo che sono difficili”.
Dalla saggezza di Seneca,
potremmo riadattare queste parole per descrivere la mancanza di coraggio e
voglia di evolversi che spesso manca a molti imprenditori. Quelli soprattutto che
spesso si trovano una fortuna in mano, ereditata dai propri padri, ma che privi
di talento e voglia di osare, tendono sempre a lamentarsi delle difficoltà
burocratiche, politiche, economiche e sociali,
trovando ogni scusa per voler de localizzare e distruggere anni di storia,
puntando il dito contro chi non c’entra nulla con i loro fallimenti personali e
professionali.
In un pomeriggio di fine autunno,
in attesa che il governo rottami finalmente la crisi economica dando inizio ad
una riforma del lavoro tanto attesa, che non si sa se davvero cambierà le sorti
occupazionali o sarà l’ennesima trappola fatta di parole belle ma vuote. Può
capitare di imbattersi in vetrine ben vestite di aziende storiche. Tra i vari
colori delle carte regalo, trovo affisso al muro principale del negozio un
annuncio dove c’è scritto che sono alla ricerca di personale. Chiunque di
fronte a tale occasione andrebbe a portare il proprio CV mettendosi in gioco.
Suona il telefono della chiamata
tanto attesa e capisci che l’esito del colloquio è positivo. L’entusiasmo è al
massimo ma una volta varcati i cancelli e messo piede sull’ uscio della porta
principale, tutto quell’ ottimismo svanisce di fronte al degrado.
Ciò che ti avevano promesso di
fare, nel metterti alla prova, manca e tutte le luci e le belle parole non
erano che solo un’ astuta apparenza e un grande inganno.
Si nota, da subito, come le mura
vecchie di quella struttura siano pregne di negatività accumulata nel tempo.
Dove l’incapacità di comunicare tra il capo e i suoi dipendenti, si tramuta in
momenti di ansia che portano a non riuscire a risolvere anche problemi banali
che inevitabilmente rallentano tutto il processo produttivo.
Facendo una casuale ricerca sul
campo, ho avuto la possibilità di vedere da dentro come un’azienda fallisce, ma no a causa della crisi economica,
della mancanza di giovani disposti a lavorare e del politico di turno che fa
fatica ad ascoltare e a capire le necessità delle piccole e medie imprese, ma per l’incapacità gestionale
dell’imprenditore che non sa leggere e risolvere i problemi della sua
azienda.
Negli anni mentre il mercato del
lavoro si evolveva e molte aziende da conduzione familiare, mutavano il loro
profilo in multinazionali, andando ad investire il proprio capitale nelle
risorse umane, nella formazione continua del personale, nell’innovazione e
nelle tecnologie mantenendo come punto di forza la tradizione e lo sviluppo sul
territorio con un occhio vigile al mutamento costante del mercato del lavoro. C’è
chi, invece, ha preferito far ingrassare solo le proprie tasche e i propri armadi,
lasciando la struttura ferma agli anni 50’ insieme alla mentalità e agli
atteggiamenti.
Con una breve ma attenta
osservazione ed analisi mi sono resa conto che tale azienda soffre di un forte
gap manageriale che purtroppo la porterà, se non interverrà in tempo, ad un
lento suicidio.

La causa si può riscontrare nella
mancanza di comunicazione ed ascolto
tra i vari soggetti;
non curanza dell’ambiente lavorativo,
assenza di
un welfare aziendale a favore de benessere dei lavoratori; mancanza di
innovazione del prodotto: nuova
tecnologia o combinazione di tecnologie introdotte per soddisfare un bisogno;
di
innovazione di processo:
cambiamento nel sistema degli impianti, forza lavoro, definizione dei compiti,
materie prime o flussi informativi per produrre un bene o un servizio; di
innovazione incrementale: sviluppo di
paradigmi preesistenti, aumento di produttività e competitività dell’impresa
migliorando l’efficienza di utilizzo di tutti i fattori della produzione;
investimenti organizzativi, progettazione e programmazione di nuove idee. Di
innovazione
radicale: origine di nuovi paradigmi tecnologici, investimento in R&S.
Sviluppo di nuovi mercati per migliorare la qualità dei prodotti già esistenti
e per l’
investimento continuo nella
formazione delle proprie risorse e
nella
ricerca e potenziamento tecnologico dei propri mezzi di produzione.
Per quanto ancora, un’azienda,
potrà contare di poter reggere la commercializzazione dei propri prodotti,
facendo leva solo sulla storia del suo marchio?
Per quanto tempo può risultare
credibile un’azienda che da fuori brilla di luce riflessa, quando dentro sta
marcendo, giorno dopo giorno, andando a perdere per strada molti dipendenti che
scappano di fronte alla mancanza di tutele, garanzie minime e di un’ambiente
sereno dove poter crescere e mettere a disposizione i propri sudori per una
realtà apparentemente solida?
Per quanto ancora andremo a
puntare il dito contro lo Stato, senza capire che esso non siamo altro che noi,
e che possiamo cambiarlo solo con sacrifici e piccole rivoluzioni come ad
esempio non portare l’azienda all’estero ma tendendo ad ampliarsi e andando ad adattarsi
ai nuovi ritmi del lavoro e del mondo senza andare a togliere dignità ai
lavoratori e alla propria storia.
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